FAMIGLIA: SEPARAZIONE DEI CONIUGI E DIVORZIO, ASSEGNO E CRITERI DI QUANTIFICAZIONE

I diritti e i doveri dei coniugi nei loro rapporti reciproci e nei confronti della prole, sono disciplinati rispettivamente dall’art. 143, 2° e 3° comma e dall’art. 147 c.c..

L’art. 143 c.c., nei due detti commi, sancisce, fra l’altro, l’obbligo dei coniugi all’assistenza morale e materiale e alla collaborazione nell’interesse della famiglia in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo. A sua volta l’art. 147 c.c., dispone che in presenza di prole spetta ad entrambi i coniugi, l’obbligo di mantenere, istruire ed educare i figli ed è sottinteso che lo facciano nell’ambito delle rispettive possibilità economiche.

Tali obblighi gravano nei confronti dei coniugi anche in regime di separazione e divorzio. La legge in questi casi parla di “mantenimento” ponendo a carico di entrambi i coniugi l’onere di contribuire al “mantenimento” dell’altro (ove non disponga di redditi adeguati) e dei figli in proporzione alle rispettive capacità economiche.

Con la nozione di mantenimento, si deve intendere tutto quanto è necessario ad assicurare alla prole la salute, l’educazione ed il benessere, secondo il tenore di vita e le condizioni economiche dei genitori.

L’obbligazione di mantenimento riveste natura solidale e, per questa ragione, il genitore che ha anticipato le spese nell’interesse dei figli ha diritto di regresso nei confronti dell’altro genitore per essere rimborsato.

L’obbligo di mantenimento a carico di entrambi i genitori insorge al momento della nascita e termina con l’effettivo raggiungimento dell’indipendenza economica del figlio.

La violazione degli obblighi di sussistenza morale e materiale non determina un danno esistenziale risarcibile senza una prova dei pregiudizi effettivamente subiti”.

Così si è espresso il Tribunale di Monza, chiamato a pronunciarsi sull’omesso mantenimento da parte del padre nei confronti dei figli naturali[1].

Il tema dell’assegno di mantenimento (e, più in generale, delle statuizioni economiche della separazione), è da sempre al centro di dibattiti giurisprudenziali e dottrinali. Esso riguarda sia i figli che il coniuge economicamente più debole e, nella maggior parte dei casi, è causa di conflitti fra i coniugi, che, in ipotesi di mancato accordo sul punto, tendono a rivolgersi all’autorità giudiziaria ciascuno per tutelare le proprie antitetiche ragioni.

La questione è risolta dalla legge in modo differente a seconda che l’obbligo di mantenimento riguardi i figli o il coniuge economicamente più debole.

Quanto ai figli, l’obbligo di mantenimento dei genitori è previsto dall’art. 155 comma IV. Secondo tale articolo, salvo diversi accordi liberamente sottoscritti dalle parti in sede di separazione, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando le esigenze della prole, il tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i termini di permanenza presso ciascun genitore, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno di essi. L’assegno (stabilisce il successivo comma V) è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.

La legge, quindi, àncora l’assegno di mantenimento dei figli a criteri predeterminati. La giurisprudenza ha altresì specificato che tale diritto trova il suo fondamento legislativo nell’art. 147 c.c., che impone ai coniugi il dovere di mantenere, istruire, ed educare la prole, e di far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione dei figli. Il parametro di riferimento è quindi costituito non soltanto dalle sostanze reddituali e patrimoniali, ma anche dalla capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge (art. 148 c.c.), ciò che implica una valorizzazione anche delle accertate potenzialità reddituali[2]. L’obbligo sussiste anche in regime di separazione e divorzio e permane fino a quando il figlio non risulta economicamente autosufficiente (a prescindere dal raggiungimento della maggiore età).

Quanto al coniuge, la disciplina sostanziale è dettata dall’art. 156 c.c.; il giudice può disporre a favore del coniuge che non abbia adeguati redditi propri e al quale non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall’altro quanto è necessario al suo mantenimento.

Sotto questo aspetto, i principali dibattiti vertono sull’assegnazione della casa coniugale; se questa debba essere considerata o meno una componente dell’assegno di mantenimento.

A tal proposito, la giurisprudenza si è ripetutamente espressa nel senso che al giudice della separazione e/o divorzio non è consentito assegnare la casa coniugale al coniuge che non sia affidatario dei figli (minori o maggiorenni incolpevolmente non autosufficienti) anche se economicamente più debole, in quanto tale potere è in funzione degli interessi esclusivi della prole e non delle necessità di mantenimento del coniuge incolpevole[3].

Ciò sta a significare che, almeno in linea di principio, la casa coniugale non rientra nelle disponibilità economiche dei coniugi. Diciamo “in linea di principio” perché, se da un lato l’assegnazione della casa coniugale è disposta nell’interesse esclusivo dei figli e non concorre a formare il reddito del coniuge beneficiario[4], dall’altro, la casa coniugale costituisce un cespite produttivo di reddito e può incidere nella determinazione della misura dell’assegno per lo meno in termini di “reddito figurativo” ossia in termini di risparmio del canone di locazione[5].

Quanto infine all’assegno di divorzio (art. 5 della legge 01.12.1970, n. 898), esso è determinato tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio (sia esclusivo che comune), del reddito di entrambi e della durata del matrimonio, ed è disposto a favore del coniuge che non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

Come si può dedurre dall’esame della normativa, l’assegno di divorzio ha una natura e una finalità diversa rispetto all’assegno riconosciuto al coniuge in sede di separazione. Infatti mentre quest’ultimo ha una funzione meramente compensativa, l’assegno di divorzio ha principalmente una funzione assistenziale che trova il suo fondamentale presupposto nell’esigenza di porre rimedio, in base ad un superiore principio solidaristico, allo stato di disagio economico in cui venga a trovarsi la parte più debole in dipendenza dello scioglimento del vincolo matrimoniale[6]. In altre parole l’assegno deve garantire al coniuge divorziato le stesse risorse economiche su cui egli poteva contare in circostanza di matrimonio e che, in via di massima, debbono essere ripristinate dalle statuizioni giudiziali, in modo da ristabilire un certo equilibrio a favore del coniuge impoverito[7]. Nella determinazione dell’importo, il giudice dovrà tenere conto anche degli eventuali miglioramenti della condizione economica del coniuge nei cui confronti si chieda l’assegno ma solo nell’ipotesi in cui costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio[8].

Diciamo “principalmente”, poiché accanto alla primaria natura previdenziale, dottrina e giurisprudenza attribuiscono all’assegno di divorzio una ulteriore natura compensativa e risarcitoria. Secondo tali criteri, il giudice dovrà tener conto, nella sua determinazione, dell’apporto personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla formazione o all’incremento del patrimonio sia comune che di appartenenza esclusiva dell’altro coniuge (criterio compensativo) nonché dei comportamenti che hanno determinato la rottura della comunione spirituale e materiale della famiglia sia precedenti sia successivi allo scioglimento del vincolo matrimoniale (criterio risarcitorio).

Ma al di là dei parametri previsti dalla legge, nella prassi, qual è l’ammontare concreto dell’assegno di separazione e/o divorzio che spetta ai figli e al coniuge economicamente più debole?

Sull’argomento il dibattito è vivo sia in dottrina che in giurisprudenza.

Interessanti sull’argomento sono le tabelle redatte dal Tribunale di Monza le quali, tenendo conto dei parametri legislativi sopra esaminati, prevedono differenti ipotesi di quantificazione dell’assegno (diversificati a seconda che si tratti di separazione e/o divorzio) che variano in ragione della presenza di uno o più figli, nonché, per quanto riguarda il regime di separazione, dell’assegnazione o meno della casa coniugale[9].

Sebbene, come sopra spiegato, l’assegnazione della casa coniugale non rientri nelle fonti di reddito dei coniugi separandi, non si può negare che essa produce comunque a favore del beneficiario, un reddito figurativo rappresentato dal canone di locazione percepibile in quella zona. E’ innegabile che tale assegnazione costituisca per il coniuge assegnatario un non indifferente contributo economico per lo meno in termini di risparmio del detto canone. Pertanto, se l’assegnazione della casa coniugale, in linea di principio, non concorre alla formazione del reddito del coniuge onerato, essa rientra nel calcolo dell’assegno come reddito figurativo.

Quanto all’importo dell’assegno di mantenimento, la quantificazione che emerge dalle tabelle è riferibile a situazioni reddituali medie (pari a 1.200,00 / 1.600,00 euro) comprensive di 13 o 14 mensilità in assenza di altre fonti alternative di reddito (depositi bancari, titoli azionari ecc.).

Ad esempio, nell’ipotesi di coniuge senza figli e sempre che lo stesso non abbia adeguati redditi propri, essendo l’assegno di mantenimento diretto a mantenere il medesimo tenore di vita esistente in costanza di matrimonio, l’importo dell’assegno sarà pari a circa 1/3, 1/4 del reddito del coniuge onerato. L’importo varia a seconda che il coniuge beneficiario sia assegnatario o meno della casa coniugale posto che, in questo caso, vista l’assenza di figli, la casa coniugale concorre a produrre reddito (nel senso sopra esaminato).

Diversa è l’ipotesi in cui il coniuge beneficiario abbia redditi propri non adeguati, tali, cioè, da non garantirgli un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. In tale ipotesi il calcolo frazionario sarà effettuato non sul reddito del coniuge onerato bensì sul differenziale di reddito fra i due coniugi. Le Tabelle del Tribunale di Monza ritengono equa una quantificazione dell’assegno pari a 1/3, 1/4 del differenziale a seconda che vi sia o meno l’assegnazione della casa coniugale ma, a parere di chi scrive, una simile situazione risulterebbe incongrua andando a favorire la posizione del coniuge beneficiario, che può godere oltre che del suo reddito, del reddito (liquidità) percepito dall’altro coniuge e del reddito figurativo proveniente dalla casa coniugale (come visto in termini di risparmio sui canoni di locazione), con un notevole impoverimento del coniuge non beneficiario.

Gli stessi criteri vengono applicati anche nel caso di redditi più elevati, ma questa volta tenendo conto anche delle fonti di reddito alternative. In questa ipotesi diviene essenziale ricostruire la situazione patrimoniale e/o reddituale di entrambi i coniugi, e spetterà al Presidente, nel corso dell’udienza, effettuare tutte le indagini relative al caso. In simili situazioni il calcolo dell’assegno sarà effettuato con riguardo ai presunti redditi dei coniugi e i criteri sopra esaminati (1/4 in caso di assegnazione della casa coniugale; 1/3 in caso di mancata assegnazione), dovranno essere temperati con il patrimonio (comune ed esclusivo) dei coniugi risultante dalle indagini svolte.

Per contro, nell’ipotesi di coniuge con figli, i parametri di calcolo dell’assegno tengono conto sia della circostanza che l’assegnazione della casa coniugale viene data al coniuge affidatario dei figli minori, sia del fatto che nella stragrande maggioranza dei casi viene posto a carico di entrambi i coniugi l’onere di contribuire alle spese straordinarie della prole nella misura del 50% ciascuno.

Nel caso di coniuge a favore del quale non sia liquidato un assegno di mantenimento, nelle situazioni reddituali medie l’importo dell’assegno andrà aumentato a seconda del numero dei figli. Le Tabelle prevedono una ripartizione pari ad 1/4 nell’ipotesi di un solo figlio, 1/3 nell’ipotesi di due figli e 1/2 nell’ipotesi di 3 o più figli. Anche in questo caso (così come nel caso di coniuge assegnatario della casa coniugale con reddito minimo) l’utilizzo asettico dei parametri oltre a comportare un impoverimento del coniuge onerato ai limiti del tollerabile (infatti il coniuge beneficiario godendo dell’assegnazione della casa coniugale può disporre di un proprio reddito in termini di “reddito figurativo” che invece grava a parità di reddito sul coniuge onerato), finisce con l’agevolare le famiglie meno numerose a discapito di situazioni di maggiore bisogno, nelle quali l’erogazione dell’assegno, più che come mantenimento (inteso come contribuito teso a garantire lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio), deve essere inteso come fabbisogno alimentare.

E’ pertanto auspicabile che il giudice in tali condizioni, più che applicare sic et simpliciter i parametri, faccia valutazioni più consone alla realtà fattuale che è chiamato a valutare.

Per contro, nelle situazioni in cui al coniuge affidatario sia liquidato un assegno di mantenimento, i parametri riducono l’importo dell’assegno tenendo conto della circostanza che il coniuge onerato debba reperire un altro alloggio[10]. In tali ipotesi le tabelle assegnano 1/5 del reddito del coniuge onerato in presenza di un solo figlio; 1/3 del reddito in presenza di due figli e 2/5 in presenza di tre o più figli. Anche in tale ipotesi la penalizzazione riguarderà le famiglie più numerose.

Con riferimento a famiglie in possesso di redditi più elevati, verranno applicati gli stessi parametri temperando l’applicazione delle frazioni con il reddito/patrimonio posseduto da entrambi.

Gli stessi parametri vengono applicati anche con riferimento all’assegno di divorzio. Va detto tuttavia che, stante la differente funzione dell’assegno di divorzio rispetto a quella di separazione (solidaristico – assistenziale il primo e compensativo il secondo) e la differenza dei parametri legislativi nel calcolo dell’assegno, l’applicazione dei medesimi criteri appare riduttiva, soprattutto ove si consideri che il giudice in sede di divorzio è tenuto a valutare anche l’apporto dato da entrambi i coniugi sia al patrimonio famigliare che al patrimonio esclusivo di ciascuno di essi. Inoltre in sede di divorzio, una applicazione analogica dei parametri elaborati in sede di separazione potrebbe sembrare illogica e irrazionale soprattutto nei confronti del coniuge che, anche con i suoi comportamenti successivi, abbia determinato la rottura dell’unione coniugale. In tali ipotesi il giudice nella fase della concreta determinazione dell’assegno, dovrà tenere conto di tali parametri come criterio di moderazione dell’ammontare del medesimo[11]. In ogni caso, tale valutazione non sarà necessaria ove nella fattispecie concreta non sussistano necessità assistenziali[12].

A tal proposito non occorre trascurare la prassi di alcuni giudici di merito che spesso, per evidenti ragioni di economia processuale, anziché rifare una valutazione della situazione basata su una diversa parametrazione della legge divorzio rispetto a quella prospettata dal codice civile in sede di separazione, tendono a disporre, in sede di divorzio, le medesime quantificazioni già disposte in sede di separazione, ove nel corso del procedimento di divorzio non risultino modificate le situazioni economiche di uno o di entrambi i coniugi rispetto alla precedente fase della separazione. Tale prassi certamente semplicistica, è esecrabile perché non tiene conto delle diverse funzioni dell’assegno di mantenimento nell’una e nell’altra fattispecie.

Accanto ai criteri elaborati dal Tribunale di Monza, si segnalano altresì l’esperienza del Tribunale di Firenze che, in collaborazione con la facoltà di economia della locale Università ha elaborato il MoCAM quale indice di calcolo dell’assegno di mantenimento[13], sia l’esperienza del Tribunale di Palermo che ha elaborato un software pubblico che tiene conto di diverse variabili per individuare l’importo dell’assegno gravante sul coniuge onerato.

Quanto all’esperienza del Tribunale di Firenze, essa va segnalata per il particolare pragmatismo con cui l’indice permette di effettuare il calcolo. Le variabili utilizzate sono il reddito e la spesa per consumi delle famiglie, mentre il reddito viene inteso come misura della capacità potenziale di soddisfare bisogni e quindi di raggiungere un dato tenore di vita, la spesa per consumi permette di visualizzare di quanto la capacità potenziale insita nel reddito trovi concreta realizzazione attraverso l’acquisto di beni di consumo. La differenza fra le due misure è costituita dal risparmio.

In linea di principio l’erogazione di un assegno di mantenimento comporta che le due nuove famiglie originate dalla separazione abbiano una ripartizione delle risorse diversa da quella che spetterebbe a ciascuna se si considerasse solo la titolarità dei redditi. L’entità dell’assegno dipenderà da quale tenore di vita si intende garantire ai soggetti coinvolti nella separazione, tenendo conto del tenore di vita goduto dalla famiglia originaria in costanza di matrimonio.

La logica dell’esperienza del Tribunale di Firenze è di disporre di uno strumento che consenta di confrontare i bisogni di famiglie differenti per numero e caratteristiche dei componenti, di creare cioè “scale di equivalenza” che permettano di fare paragoni fra situazioni differenti, di visualizzare per i vari casi la parte di reddito destinata a soddisfare i bisogni dei figli.

A tal fine possono configurarsi due differenti situazioni: a) l’assegno di mantenimento è diretto a preservare il tenore di vita del figlio valutandone il costo nella situazione di separazione[14]; b) garantire ai due nuclei familiari nati dalla separazione[15] lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio sia in termini di reddito equivalente[16] sia in termini di spesa equivalente[17].

I dati a disposizione sono quelli che riguardano entrambi i due nuclei familiari nati dalla separazione: sia quelli riguardanti le caratteristiche anagrafiche delle famiglia e il tempo di permanenza dei figli presso ciascun genitore sia quelli riguardanti il reddito percepito da entrambi i genitori oltre il patrimonio mobiliare ed immobiliare a disposizione di ciascuno di essi. Anche in questo caso involge un ruolo di particolare importanza l’assegnazione della casa coniugale che, come già visto con l’esperienza del Tribunale di Monza, benché non rientri nei redditi del coniuge assegnatario (visto che la legge afferma che essa è posta a tutela della salute psico fisica del figlio), costituisce pur sempre un cespite produttivo di reddito, quanto meno in termini di risparmio del canone di locazione (reddito figurativo). Ovviamente dovrà tenersi conto degli accordi assunti dai coniugi in sede di separazione e/o divorzio in ordine al patrimonio e la somma che si spende per mutui e/o affitti sia nella situazione originaria che in quella dopo la separazione. Infine, nell’esplicitare che occorre tenere conto del tempo che il figlio passa con ciascun genitore, la legge considera implicitamente che il genitore paga già parte delle spese del figlio durante la quotidiana convivenza.

Quanto infine all’esperienza del Tribunale di Palermo il software pubblico pone alla base del calcolo la somma tra il mantenimento del figlio e quella del coniuge beneficiario[18], il reddito lordo del coniuge onerato[19], e la “percentuale di accudimento” ossia il tempo di permanenza dei figli presso ciascun genitore, oltre che le spese per la famiglia nelle quale rientra senz’altro l’assegnazione della casa coniugale come reddito figurativo[20].

Certamente l’esperienza del Tribunale di Palermo, è lodevole, ed è creata “ad hoc” per la situazione che si vive nel Sud Italia in cui, nella maggior parte dei casi, il coniuge beneficiario non percepisce alcun reddito, ma non può essere un indicatore per ogni situazione. Spetterà al giudice poi temperare il calcolo dell’assegno con altre variabili più consone al caso concreto.

E’ effettivamente difficile indicare quale delle tre esperienze sia la più vicina alla realtà. Certamente l’esperienza del Tribunale di Monza permette di graduare le varie situazioni con un approccio più personalizzato rispetto agli altri metodi, ma anche in questo caso giuoca un ruolo fondamentale l’intervento del giudice al quale spetterà temperare i criteri oggettivi di calcolo dell’assegno con le situazioni concrete in modo da evitare l’assurdità tanto diffusa per cui al coniuge beneficiario spetti il 50% del reddito del coniuge onerato pur in presenza di un solo figlio.

[1] Tribunale di Monza, sentenza 19.02.2010 in altalex. Il Tribunale così argomentando ha ripreso molti orientamenti consolidati della S.C. in tema di obbligo di mantenimento dei figli.

[2] Trib. Novara, 06.02.2012; conforme Trib. Novara, 13.01.2010, entrambe nel sito NovaraIUS.it.

[3] Cass. civ., 14.05.2007, n. 109994.

[4] Art. 115 quater c.c.

[5] vedi infra.

[6] App. Roma, 25.05.2005, Massima Redazionale in Banche Dati UTET; conforme Trib. Bologna 22.02.2005 in Guida al Diritto, 2005, 34, 68.

[7] Cass. civ., 19/06/1987, n. 5372

[8] Cass. civ., 17/11/2006, n. 24496. La giurisprudenza si riferisce ad eventuali sviluppi di reddito determinati da un miglioramento delle condizioni economiche dovute anche ad eventi lavorativi del coniuge beneficiario, sempre che si tratti di miglioramenti prevedibili, collegati alla situazione di fatto e alle aspettative maturate nel corso del matrimonio e non aventi carattere di imprevedibilità ed eccezionalità.

[9] Per un esame più approfondito delle Tabelle del Tribunale di Monza, consultare il sito altalex: “I criteri di quantificazione dell’assegno per il coniuge e i figli”, articolo del 17.11.2008 di Piero Calabrò.

[10] Tale logica avrebbe dovuto ispirare anche l’ipotesi precedente; da qui la dissonanza già rilevata nel testo, all’applicazione asettica dei parametri previsti nelle tabelle.

[11] E’ evidente che in tale valutazione il giudice tenderà ad aumentare o diminuire la misura dell’assegno a seconda dei coniugi ai quali è imputabile la rottura dell’unione spirituale e materiale.

[12] Ne consegue che è del tutto superflua l’indagine sugli anzidetti comportamenti dei coniugi e sulla ricorrenza del c.d. presupposto risarcitorio, quando il giudice del merito, in esito alla globale valutazione delle circostanze del caso concreto, abbia stabilito che l’ex coniuge richiedente dispone di mezzi adeguati, ovvero che il coniuge sul quale dovrebbe gravare l’assegno è privo delle necessarie risorse economiche (Cass. civ., 11/06/2005, n. 12382 in Guida al Diritto, 2005, 28, 73).

[13] Per una lettura approfondita dell’esperienza del Tribunale di Firenze vedi “ MoCAM : un modello per il calcolo dell’assegno di mantenimento in caso di separazione dei coniugi” di Mauro Maltagliati, Gianni Marliani in www.studiocataldi.it/articoli/MoCam.pdf.

[14] Si tratta di stabilire quanto i genitori debbano spendere per garantire al figlio lo stesso tenore di vita di cui godeva in regime di convivenza con entrambi partendo dall’assunto che il figlio non debba essere penalizzato dalla decisione di separarsi.

[15] L’assunto del testo, che deriva dall’orientamento della giurisprudenza, non può non tenere conto del fatto che la separazione, determina una duplicazione dell’originario nucleo famigliare e, conseguentemente, una duplicazione delle spese di gestione famigliare, col risultato che i due coniugi, dopo la separazione, in assenza di mutamento delle fonti di reddito e patrimoniali a loro disposizione, diventano entrambi più poveri rispetto alla situazione antecedente alla separazione stessa. Ciò comporta, dunque, che il “mantenimento dello stesso tenore di vita precedente” è solamente teorico e pertanto l’assunto deve intendersi in senso relativo e non in senso assoluto con la conseguenza che, in assenza di componenti risarcitorie, entrambi i coniugi subiranno una corrispettiva, proporzionale, riduzione del tenore di vita.

[16] In questo caso, a differenza di quanto riferito in nota 14, si tratta di stabilire quale sia il tenore di vita da garantire ai due nuclei familiari risultanti dalla separazione compresi gli adulti. Principio di equità è quello di quantificare l’entità dell’assegno di mantenimento in modo da garantire ai due nuclei famigliari nascenti, dopo il trasferimento dell’assegno, lo stesso tenore di vita in modo tale da poter poi successivamente quantificare il costo dei figli.

[17] La spesa diventa l’indicatore utilizzato nel calcolo del tenore di vita ma ai fini della scala di equivalenza occorre considerare che tutta la somma trasferita (pari all’assegno di mantenimento erogato dal coniuge onerato) venga spesa per l’acquisto di beni di consumo dal beneficiario. Le capacità di risparmio saranno dunque rapportate alla sola parte di reddito posseduto dal coniuge che percepisce l’assegno.

[18] Sarebbe preferibile prevedere unicamente il mantenimento spettante al figlio posto che nella prassi si possono verificare situazioni nelle quali i due coniugi rinunciano reciprocamente all’assegno di mantenimento o situazioni nelle quali entrambi i genitori sono percettori di reddito analogo.

[19] Il reddito lordo risultante dalle buste paga sebbene renda il calcolo più agevole, è comprensivo di imposte mutui e/o affitti e non tiene conto del patrimonio né comune né esclusivo goduto da entrambi i coniugi in regime di matrimonio.

[20] Per approfondimenti sul tema www.giustiziasicilia.it;I Tribunali incominciano ad adottare un programma di calcolo oggettivo per l’assegno di mantenimento” di Giacomo Rotoli in papàseparati.org.